Al numero 17 di via Arezzo, a pochi metri da piazza Bologna, ha trovato casa Mamma Orso, il ristorante che celebra la cucina italiana tra interpretazioni intime e contaminazioni apolidi dei due amici al comando.
A Roma apre Mamma Orso, tecnica d’autore e anima da salotto di casa
Arredamenti retrò, candide tovaglie che apparecchiano la tavola alla vecchia maniera e porcellane uniche scovate nei mercatini vintage, la coppia ha ricreato un ambiente familiare distribuito tra 30 coperti interni con vista sulla cucina e circa la metà nel dehors, rifugio dei romani che vengono a caccia di ricette mai banali e allo stesso tempo rassicuranti; ma anche dei gastrohipster che trovano pane per i loro denti, e di tutti quelli che poi diventano habitué sapendo che il giorno dopo il menu sarà sempre diverso. La linea è giornaliera, formulata con fragranti ingredienti in base al fresco del banco di frutta e verdure nel quartiere Montesacro senza prescindere da selezionatissimi fornitori che mappano un po’ tutte le regioni. Dai volatili che prendono dall’azienda agricola Moncucco nel vercellese alle carni di più grande pezzatura de La Granda, sempre in Piemonte, Gnessi Teresa invece per gli ovini; Santoni nelle Marche è stato scelto per la tenacia della pasta all’uovo secca mentre si sono spostati in Abruzzo per i formati secchi a base di acqua e farina di pastificio Verrigni, tutti trafilati in oro; a Roma come punti di riferimento hanno La Formaggeria di Francesco Loreti e la selezione dei prodotti di Ethical Food Selection; per l’olio extra vergine d’oliva doppia scelta tra il calabrese di Sovarico e l’umbro di Flaminio.
In un costante equilibrio che mixa con disinvoltura reminiscenze familiari e scoperte personali, Ciro predilige pesci meno conosciuti. Se tra le carni non entrerà mai filetto, entrecote, fiorentina e guancia di manzo, fonte d’ispirazione sono tagli considerati meno nobili, come il quinto quarto, ma c’è anche pecora e abbacchio, e grande sensibilità nel lavorare la cacciagione. Quando usa le proteine animali ragiona differenziando i grassi, una pratica imparata rubando con gli occhi dai grandi chef: ad esempio, del manzo utilizza il suo midollo mentre dall’agnello ricava il grasso dalla “copertina”. Se ogni piatto si sbilancia verso un gusto acido, che ne favorisce l’effetto digeribilità, le cotture espresse, in alcuni casi sul fuoco vivo o griglia a pietra lavica, restituiscono quel sapore genuino e più rustico. A tradire le origini campane di Ciro è quella Genovese di pecora, tra i pochi piatti che difficilmente esce dalla carta e che cambia stagionalmente la natura del condimento. Stagionale è anche il contorno che accompagna il Coniglio fritto alla cacciatora, altro piatto che sta avendo una sua continuità. Emblema dell’attitudine di Ciro a trovare idee nuove è il Lardo di mare con seppia, una preparazione che unisce terra e mare grazie alla salamoia, solitamente impiegata per gli insaccati, con cui si cospargono le seppie con un ventaglio aromatico che ricorda certi salumi; nella versione primaverile, dopo averle lasciate riposare per qualche giorno, vengono adagiate sulla vignarola piatto tipico romano.
Senza trascurare alcun dettaglio, Andrea ha costruito una carta dei vini che gli corrispondesse in termini di autenticità e curiosità; senza farsi influenzare dalle mode, ha alternato una serie di etichette di piccoli e giovani produttori, come Cantina Ribelà a Monte Porzio Catone, in provincia di Roma di dove lui stesso è originario, o Le Formiche in Toscana, con piacevoli incursioni di aziende che hanno segnato la storia del vino in Italia, su tutti Mazzei per il Chianti Classico o Arnaldo Caprai per il Sagrantino di Montefalco. Quella di Mamma Orso è una selecta ragionata che (ri)scopre persino alcuni vitigni autoctoni e approfondisce i territori senza dimenticare di restituire importanza a vigne che un tempo venivano usate come uve da taglio, ad esempio il Nocera in provincia di Reggio Calabria oppure il Fumin Grosjean della Valle d’Aosta.