ISOLA TIBERINA: una storia ricca di mistero avvolge il Ponte Rotto, i resti di una struttura realizzata probabilmente nel 241 a.C.
Di fronte all’isola Tiberina emerge dalle acque del Tevere un grande rudere dall’aspetto decadente e poetico, il cosiddetto Ponte Rotto. Se ne sta da secoli immerso nell’acqua, con le sue arcate ormai distrutte e la vegetazione spontanea che sbuca dalle sue crepe, ergendosi al centro del fiume a ricordo della sua potenza e degli effetti devastanti delle sue piene.
Quando e perché venne costruito
Ponte Rotto è il nome con il quale è più comunemente noto, ma si tratta in realtà dei resti dell’antico “Pons Aemilius“, realizzato probabilmente nel 241 a.C. da Manlio Emilio Lepido. Era in origine una struttura in legno che metteva in comunicazione le due rive del Tevere in un punto particolarmente significativo della città.
All’inizio del II secolo a.C. fu però distrutto da un’alluvione e così i due censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore furono scelti come sovrintendenti per la costruzione di una struttura in pietra, probabilmente la prima di questo tipo mai realizzata a Roma.
Il Ponte Emilio era il più lungo tra gli antichi ponti della città e ciò spiega il lunghissimo tempo che fu necessario per portare a compimento quest’opera, più di trent’anni.
Aveva un ruolo importante perché univa le due sponde del Tevere in un punto strategico, mettendo in comunicazione la sponda occidentale del fiume, già popolata a quel tempo da una comunità ebraica e da mercanti e uomini d’affari che venivano a Roma per motivi economici, con la Porta Flumentana che sorgeva sull’altra sponda.
Questa porta costituiva uno degli accessi alla città dell’antica cinta muraria e permetteva di raggiungere tre dei luoghi più importanti della Roma Antica: il Campidoglio, il Foro e il Circo Massimo.
Una Maledizione o un errore di progettazione?
Il Ponte Rotto, come racconta il suo stesso nome, porta con sé una storia travagliata, caratterizzata da una leggendaria maledizione che lo vide più volte soccombere alla potenza del Tevere, assumendo a seguito dei vari rifacimenti innumerevoli nomi differenti.
In realtà la leggendaria sventura del Ponte è legata alla sua singolare posizione che lo sottopose sempre ad una continua usura. È situato infatti in un punto particolarmente difficoltoso in prossimità di un’ansa, dove l’acqua è più turbolenta, nonché a valle dell’isola tiberina che, riducendo l’ampiezza del letto del fiume, provoca un aumento della velocità della corrente.
Così dopo soli due secoli dalla sua edificazione si dovette apportare per la prima volta un estensivo restauro, al tempo dell’imperatore Augusto, in occasione del quale fu rinominato Pons Maximus, per sottolinearne la lunghezza. Sempre in epoca romana si dice che nel 221 la folla inferocita abbia gettato nel Tevere il cadavere dell’odiato imperatore Elagabalo, proprio da questo ponte.
Il suo nome cambiò ancora nel IX secolo, quando uno di due antichi templi situati sulla sponda orientale del fiume venne trasformato in chiesa, col titolo di Santa Maria Egiziaca; la gente cominciò a chiamare Santa Maria anche il ponte. Tuttavia durante il medioevo i toponimi romani mutavano spesso: il ponte non faceva eccezione. Venne ribattezzato Pons Senatorius (“ponte senatorio”), in seguito ad un completo restauro delle cui spese si fecero carico per l’appunto i Senatori, la più alta carica amministrativa cittadina.
Nei secoli seguenti vi furono numerosi danneggiamenti che richiesero diversi interventi e restauri: nel XIII secolo crollò. Una volta ricostruito, forse non troppo a regola d’arte, fu ancora gravemente danneggiato due secoli dopo.
Il Restauro nel Rinascimento e la passerella metallica dell’800
Il Rinascimento non portò miglior fortuna al Ponte Santa Maria, ovvero Ponte Senatorio. Divenuto instabile in conseguenza di varie piene nel corso del Quattrocento, nel 1552 Giulio III ne commissionò un restauro integrale, progettato inizialmente da Michelangelo ma poi realizzato dall’architetto Nanni di Baccio Bigio, che fu costretto a ricostruire interamente uno dei pilastri; nella stessa occasione, il papa volle aggiungere al centro del ponte una piccola cappella.
Eppure solo pochi anni dopo, nel 1557, Ponte Santa Maria fu nuovamente spazzato via da un’alluvione e passarono venti anni prima che papa Gregorio XIII si decidesse a ricostruirlo, come testimonia l’iscrizione ancora oggi ben leggibile:
“Per volere di papa Gregorio XIII il Comune di Roma nell’anno giubilare 1575 restituì alla primitiva robustezza e bellezza il Ponte Senatorio, i cui fornici, caduti per l’antichità e già in precedenza restaurati, l’impeto del fiume aveva nuovamente abbattuto”.
In occasione del rifacimento il ponte fu utilizzato per portare l’acqua corrente a Trastevere, con una nuova conduttura dell’Acqua Felice che permetteva in particolare di rifornire la fontana di piazza Santa Maria in Trastevere.
Ma alla vigilia di Natale del 1598, un’altra gigantesca piena del fiume si portò via la conduttura insieme a tre delle sei arcate del ponte, che non vennero più ricostruite.
La metà del ponte rimasta in piedi, ancorata alla riva destra, fu trasformata in giardino pensile, una sorta di balcone fiorito sul fiume che restò tale fino alla fine del Settecento, quando la precaria stabilità del ponte lo rese del tutto inagibile.
Nel 1853, le nuove tecnologie industriali, con un progetto dell’ing. Pietro Lanciani, restituirono vita al ponte con una passerella metallica, che venne costruita per colmare la parte mancante del rudere. Dopo oltre 300 anni il ponte riprese a collegare le due rive opposte e poté essere nuovamente attraversato. Tale soluzione durò fino al 1887, quando fu decretato l’abbattimento della passerella e la creazione del nuovo e adiacente Ponte Palatino.
Per motivi tecnici connessi a questa nuova costruzione l’antico ponte venne privato di due delle tre arcate e definitivamente soprannominato “Rotto”. Un misero resto in pietra abbandonato nel fiume, che rappresenta però le vestigia di una storia millenaria e che forse un giorno, spogliatosi del tutto della sua maledizione, potrebbe uscire dal suo stato di abbandono ed essere restaurato e reso fruibile come merita.